Stefania Pennacchio
attraverso i suoi collezionisti
”È qui che si fonda tutto, astratto, concreto, concetto, materia. Si fonda perché nella casualità dei misteri incandescenti si fonde. È in questa fucina controllata da magie arcane che Stefania Pennacchio elabora le sue stregonerie
PHILIPPE DAVERIOAntropologo e storico dell’arte
”L’artista avverte il forte bisogno di dare voce libera ed assertiva alla materia argilla, con o senza il colore, cercando la poesia nelle sue mani e nella forza delle dita sigillata dalla danza sacra con il fuoco. Per questo il suo percorso è segnato da una continua sperimentazione
JEAN BLANCHAERTGallerista, curatore, giornalista e artista specializzato nelle forme d’arte del vetro, della ceramica, dello smalto e di altri “materiali”contemporanei
”La ricerca scultorea di Stefania Pennacchio è ciò che di sacro e rituale emana dal mar Mediterraneo e si trasforma in linguaggio artistico contemporaneo. il Blu del mar Ionio sembra averla ispirata ad un racconto stratificato di culture, memoria e civiltà
Santo VersaceImprenditore del Settore della Moda
”Il suo lavoro è una costante reinterpretazione di modelli, mitologie e simboli che trovano le loro origini già nel Neolitico per espandersi poi a recuperare elementi culturali tipici della Magna Grecia costituenti la nostra memoria collettiva e che vengono riconfigurati grazie ad una eccellente perizia nell’utilizzo della tecnica Raku.
DOMENICO PIRAINADirettore dei musei scientifici di Milano
”Ha l’anima di una brigantessa gentile, Stefania Pennacchio, e usa l’arte come un fucile
Giordano Bruno Guerripresidente Fondazione Vittoriale degli Italiani
”Nulla è semplice. Lo dicono le mani di Stefania, artista e abilissima operaia: mani agili, mobili, esperte, segnate dagli spessori e dalle cicatrici di chi maneggia
ANTONIO CALABRO’Senior Advisor Cultura di Pirelli & C. e direttore Fondazione Pirelli di Milano
e impasta terre e colori, gioca con le argille morbide e con il ferro tagliente, trasforma silice in vetro, adopera come in un’officina ancestrale l’acqua e il fuoco, tutto pensa e trasforma. Un’opera d’arte è come fare il pane per mano di madre: si impasta e si cuoce. E di quel pane ci si nutre. E via via continuando in un circuito di fertilità poetica tendente all’infinito, dal tempo verso il tempo che prova a superare se stesso. L’arte per mano femminile è maternità duplice.
”Ebbene, siamo di fronte a un’artista che ha deciso con determinazione e gentilezza insieme, di sperimentare i linguaggi e le tecniche dell’arte, partendo da una spinta primigenia, ovvero da un legame molto stretto, profondo, affiorato o ricercato, con le origini di se stessa e della propria famiglia, sprofondandosi nella matrice mediterranea con curiosità appassionata e intelligente, dunque verso l’antico, e allo stesso tempo liberando la propria visionarietà, la propria poetica ricreatrice tutta contemporanea.
ANTONIO CALBISovrintendente Fondazione Istituto Nazionale del Dramma Antico
”Stefania Pennacchio, grazie alla cui opera il ricordo del passato si fa materia, raccontandoci storie di dei, di eroi, e -in questo specifico caso- ci permette di entrare nel mondo delle silenziose donne greche. Grazie a Stefania Pennacchio persoaggi fuori dal tempo come Elettra, Alcesti e Fedra mostrano quella che George Steiner chiama la ‘energia di reiterazione’ del racconto mitico...che ci costringe a pensare al nostro rapporto con noi stessi, alle nostre passioni, ai nostri problemi e alle nostre contraddizioni.
EVA CANTARELLAStorica, giurista, sociologa e accademica italiana, specializzata nello studio della società antica
”Gli elmi in questa mostra sono visioni metaforiche. Non solo rappresentano l’eroismo dei guerrieri in tutta la loro gloria, le forze interne e fisiche di colui, che avanza senza paura nella battaglia e la sua vittoria sul campo, ma gridano anche il vuoto delle conseguenze, la mutazione personale e il desiderio di rivisitare e ristabilire valori in precedenza ripudiati
LISA HOCKEMEYERStorica e consulente dell’arte e del design e professore presso il Politecnico di Milano
”L’assenza del corpo trasfigura le figure maschili. L’elmo, vuoto, scalfito e segnato, evoca. Non emotivamente statico, sprigiona energia: i dolori, le paure, le speranze di chi lo calzò riaffiorano vigorosamente, travolgendoci.
CARLOTTA VENEGONIStorica, critica dell’arte e giornalista pubblicista